intervista a giovanni maria jacobazzi sulla comunicazione giudiziaria

AIVM intervista Giovanni Maria Jacobazzi, giornalista professionista presso Il Dubbio, riguardo il tema della comunicazione giudiziaria in Italia.


Venerdì 23 Ottobre abbiamo avuto il piacere di ospitare, negli uffici di AIVM, Giovanni Maria Jacobazzi, giornalista professionista presso Il Dubbio.

Durante la prima parte dell’intervista che gli abbiamo fatto, ci ha parlato della comunicazione giudiziaria in Italia.

In particolare ci ha spiegato come i media comunicano le vicende giudiziarie del Paese, come si è arrivati alla situazione attuale e quali sono gli effetti che la comunicazione giudiziaria ha a livello sociale.

Di seguito troviamo i diversi punti toccati nell’intervista e le sue parole.

La Comunicazione Giudiziaria In Italia

La comunicazione giudiziaria in Italia, rispetto a quanto accade in altri paesi Europei, è un tema particolarmente sentito.

Oggi, in Italia, possiamo vedere come i telegiornali e i media danno molto spazio a questi argomenti. Confrontando i media italiani con quelli di altri paesi europei, si può notare come lo spazio dedicato alle attività, alle investigazioni, ai processi, e quant’altro, è enormemente superiore.

Ora cerchiamo di capire per quale motivo ciò avviene, e soprattutto come viene oggi strutturata questo tipo di comunicazione e quale messaggio finale arriva a chi legge i giornali o a chi guarda un programma di informazione o un telegiornale.

Lo Sbilanciamento Verso la Pubblica Accusa

La comunicazione giudiziaria è particolarmente sbilanciata sulla parte della pubblica accusa. Questo perché, da anni, la modalità comunicativa prevede che chi svolge l’investigazione, quindi forze di polizia e l’autorità giudiziaria, ha il compito di comunicare quelle che hanno scoperto con le indagini.

Per fare questo, le forze dell’ordine, organizzano alcune conferenze stampa, distribuiti dei filmati e del materiale illustrativo, come ad esempio dei video dove appaiono i loghi delle forze di polizia che hanno preso parte all’investigazione.

Vengono anche distribuiti i materiali le immagini delle attività svolte, come ad esempio, il video che venne fatto in diretta dai carabinieri del ROS durante l’arresto di Massimo Carminati.

Il compito del giornalista si riduce al raccogliere tutto questo materiale fornito dalla pubblica accusa e allo scrivere l’articolo o a realizzare il servizio, senza fare ulteriori verifiche, con il materiale raccolto.

Una comunicazione così totalmente sbilanciata sulla pubblica accusa, ha un effetto immediato sui lettori, che finiscono per interpretare l’accusa come una sentenza già scritta.

I cittadini, infatti, sono immediatamente condizionati a colpevolizzare le persone investigate, senza aspettare il proseguo delle indagini.

Questo accade perché la loro unica fonte è il materiale che la pubblica accusa ha fornito al giornalista. Invece, al contrario, gli accusati non hanno assolutamente la possibilità di difendersi pubblicamente.

Appare ovvio come, chi viene arrestato non è in grado di fare la conferenza stampa, inoltre anche se fosse ancora a piede libero non sarebbe in grado di rispondere alla pubblica accusa con gli stessi mezzi e con lo stesso spazio a disposizione. Infatti, un avvocato non ha le stesse risorse per convocare nel proprio studio una conferenza stampa.

Quindi, i cittadini hanno la percezione che si tratti di una sentenza già scritta, quando in realtà si tratta soltanto della fase iniziale della vicenda. Nel senso che non c’è stato nessun processo o nessuna condanna, ma soltanto un’attività di indagine preliminare. Per trarre conclusioni sulla vicenda bisogna aspettare la fine dell’iter processuale.

I passaggi successivi poi, dopo questo momento iniziale si dilatano.

Le Fasi Successive all’Arresto

Se la fase iniziale è molto veloce, con la perquisizione, l’irruzione nella casa, l’arresto all’alba, la macchina con le sirene che porta gli arrestati in caserma… Nelle fasi successive si rilassa tutto.

Questo è un po’ colpa dell’attuale codice di procedura penale, perché prevede che le fasi successive siano molto lente, e quindi dal punto di vista mediatico poco interessanti. In questo modo, il giornalista non ha più l’interesse a seguire tutte le fasi del dibattimento.

Questo momento iniziale molto intenso, rimane impresso nella mente delle persone. Così, quando, dopo anni, il processo si conclude con l’assoluzione degli imputati, questo avvenimento viene percepito dal cittadino e dal lettore come qualcosa che è andato storto nella giustizia.

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Nelle fasi iniziali, l’arresto è un momento che rimane impresso nella mente delle persone.

Il problema principale di questo modello, è dato dal fatto che il processo, che dovrebbe essere il momento centrale della vicenda è passato in secondo piano, mentre, le indagini preliminari hanno rubato la scena diventando il momento centrale.

A livello mediatico, tutto si gioca nella fase iniziale mentre viene data pochissima attenzione alla fase centrale del processo. Infatti, nella maggior parte dei casi, nel condizionamento iniziale che c’è stato, la pubblica opinione spinge i lettori a pensare a ad una condanna esemplare per gli indagati.

Ecco perché, si parla di denegata giustizia, non solo in caso di assoluzione, ma anche nel caso in cui il soggetto alla fine del processo viene condannato con una pena che non è mediaticamente ritenuta congrua.

Il Cambiamento Comunicativo

Questo approccio di comunicazione giudiziaria, secondo me, ha iniziato a diffondersi due o tre anni dopo il 1989, anno dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

Il codice portò un cambiamento nel processo accusatorio. Se prima l’accusa aveva un po’ più di potere rispetto alla difesa; da questo momento in poi, l’accusa e la difesa diventano parti perfettamente uguali davanti al giudice.

Il quale ha il compito di raccogliere le informazioni fornite dalle due parti e di decidere in modo imparziale. Si può dire che da questo momento in avanti la giustizia ha un potere maggiore rispetto al passato.

Con l’avvento di tangentopoli, per la prima volta, questo tipo di comunicazione giudiziaria venne proposta in televisione e nei giornali.

I notiziari iniziarono a trasmettere le immagine dei primi arresti in diretta e delle file di persone davanti agli uffici dei pubblici ministeri, a Milano. I telespettatori aspettavano il telegiornale della sera per sapere il numero degli avvisi di garanzia che erano stati inviati dalle forze dell’ordine agli indagati.

Si può dire che Mani Pulite è stato il punto di svolta della comunicazione giudiziaria in Italia. Dal questo momento in avanti, lo sbilanciamento verso la pubblica accusa e la spettacolarizzazione delle immagini sono diventate una costante.

Sempre in questo periodo venne trasmesso a puntate dalla Rai il primo processo in televisione: il Processo Enimont. Per la prima volta i cittadini poterono capire come si svolgeva un processo.

Inoltre, grazie alla sempre maggiore attenzione mediatica verso la giustizia, i cittadini iniziarono a conoscere la figura del Pubblico Ministero. Nel corso degli anni, complice il codice di procedimento penale, questa figura è diventata la protagonista assoluta della cronaca giudiziaria in Italia.

Infatti, al giorno d’oggi nessuno conosce il giudice ma tutti conoscono il Pubblico Ministero. Questo perché rappresentando lo Stato hanno a disposizione mezzi e risorse che certamente gli avvocati non hanno, non potendo così permettersi di competere dal punto di vista mediatico.

Una Soluzione Giudiziaria per Tutti i Problemi

Negli anni a venire la comunicazione giudiziaria ha fatto sì che rimanesse impressa nell’opinione pubblica la convinzione che ogni problema dovesse essere risolto per via giudiziaria. Infatti, oggi per qualsiasi tipo di problema viene chiamato in causa un magistrato e un nuovo fascicolo viene aperto.

Ma se per ogni problema si deve cercare una soluzione penale, allora vuol dire che c’è decisamente qualcosa che non torna. Questo viene aggravato dal fatto che negli ultimi anni abbiamo assistito al fenomeno dell’aumento delle tipologie di reato

Infatti, capita spesso che il magistrato emetta una nuova sentenza di reato, anche spesso molto fantasiosa. Ad esempio, basti pensare ai reati di omicidio: se prima c’erano poche tipologie di reato addesso adesso c’è il femminicidio, l’omicidio stradale, l’omicidio preterintenzionale…non è più sufficiente un’unica norma.

Questo meccanismo fa si che vengano create un numero sempre maggiore norme, che devono essere adatte per risolvere tutti i problemi a cui si cerca di trovare una soluzione giudiziale.

La Figura di “Imputato A Vita”

Negli ultimi anni, oltre all’introduzione di un numero sempre maggiore di reati, abbiamo assistito ad un progressivo inasprimento delle pene.

Basti pensare che dall’anno scorso è entrata in vigore una nuova riforma della prescrizione dei reati, che prevede l’introduzione di una nuova figura giuridica: l’imputato a vita.

Inoltre, ultimamente è stata resa legittima la possibilità di installare nel telefono degli indagati un virus Trojan, che registra tutte le conversazioni. Si tratta di un virus talmente invasivo che colpisce tutti coloro che sono a stretto contatto con l’accusato.

Operativamente, ciò significa che se si sta svolgendo un’ indagine, di accusa di omicidio, questo virus può eventualmente registrare che l’imputato ha compiuto una truffa o una bancarotta. Ciò permette al giudice di accusare l’imputato di un numero sempre maggiore di reati.

Questo meccanismo risulta essere legittimo, perché la cassazione ha dato la possibilità di poter usare queste ulteriori informazioni anche se non direttamente collegate all’accusa originale.

Il caso che ha fatto scuola è la vicenda del dottor Luca Palamara, un componente del CSM che presiedieva gli incarichi direttivi. Egli era sospettato di corruzione, per questo gli fu installato il virus Trojan nel telefono.

Palamara era inizialmente accusato di avere ricevuto 40 mila euro per nominare un magistrato a capo della Procura di Gela. Tuttavia, questa accusa iniziale è caduta perché nel corso delle indagini non è stata trovata alcuna prova della sua corruzione.

Giornalismo d’inchiesta o complotto mediatico – giudiziario?
Sala dei Notari – mercoledì 13 aprile 2011
foto di 14_Annalisa Donati_7JPG in International Journalism Festival; licenza: CC BY-SA 2.0

Nonostante ciò, il virus Trojan che ha registrato la sua vita in quei mesi di indagini, ha permesso alla procura di trovare del materiale estraneo all’accusa iniziale, compreso quello che ha originato lo scandalo che ha travolto il CSM.

Una Violazione Delle Libertà Costituzionali

Ricapitolando, la comunicazione giudiziaria in Italia è sbilanciata sulla pubblica accusa e si concentra sulle fasi iniziali delle indagini. Inoltre, quando si arriva alla sentenza, spesso questa viene criticata dalla opinione pubblica che finisce per considerare la pena troppo morbida.

Inoltre, con la scusa che per ogni problema è necessario trovare una soluzione giudiziaria, oggi il cittadino si trova per tutta la vita in balia dello Stato.

Tuttavia, va ricordato che la Costituzione prevede che il processo debba avere una durata ragionevole, inoltre in un sistema dove vi è il blocco della prescrizione, il magistrato ha il compito di impegnarsi per non tenere il processo congelato per un tempo prolungato.

Altrimenti, se questo non avviene, deve essere prevista qualche sanzione, un richiamo o uno stop alla carriera. Non è possibile che i cittadini si trovino, come avviene nella situazione attuale, in balia dell’arbitrio e della buona volontà del magistrato.

Così, si crea una situazione in cui il cittadino non è più padrone delle sue libertà, si trova in balia degli eventi e vittima di meccanismi sempre più invasivi (come ad esempio il Trojan, citando il caso del dottor Palamara) senza strumenti per potersi difendere.

In tale situazione si rischia di mettere a repentaglio quelli che sono i diritti inviolabili riconosciuti costituzionalmente ai cittadini, come ad esempio la riservatezza delle comunicazioni, la libertà personale e il diritto alla privacy.

In tutto ciò l’avvocatura cosa può fare? Può fare tante cose. C’è una battaglia in atto per modificare la Costituzione della Repubblica con lo scopo di assegnare alla figura dell’avvocato il ruolo di garante dei diritti costituzionali.

Ovviamente quella dell’avvocato come garante dei diritti costituzionali è una figura molto di facciata, tuttavia c’è l’urgente necessità di rafforzare la giustizia. Questo perché se la comunicazione giudiziaria è sbilanciato dal lato della pubblica accusa, nessuno può sentirsi tranquillo.

Queste sono battaglie culturali importanti che, purtroppo, spesso non pagano. Basti pensare che ad oggi, questo dibattito sui temi della giustizia in Italia è completamente narcotizzato.

Non c’è nessuna forza politica in grado di battersi per i diritti dei detenuti e per un giusto processo. Si tratta di temi molto di nicchia, che quando arrivano ad essere discussi, lo sono per un breve periodo di tempo, cadendo velocemente nell’oblio.

Ringraziamo Giovanni Maria Jacobazzi per averci parlato della comunicazione giudiziaria, offrendoci importanti spunti di riflessione su un tema attuale e che ci riguarda da vicino.

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