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Sovraffollamento delle strutture penitenziarie italiane e problemi relativi alle condanne brevi. Quali le possibili soluzioni? Ad esempio la scarcerazione e il rilascio anticipato dei detenuti.


Articolo di Andrea Fortunato presso Diritto.it | 19 Ottobre 2020

I Detenuti In Italia: I Numeri Ancora Preoccupanti Sul Sovraffollamento.

Il sistema Penitenziario Italiano a causa della mancanza di riforme[1] sta vivendo un forte momento di crisi, influenzato sicuramente dalla recente emergenza coronavirus che lo ha infatti portato allo stremo; bisogna ricordare però, che le problematiche relative allo stesso erano venute alla luce già con la celeberrima sentenza Torreggiani[2].

Il caso, come è noto, riguarda trattamenti inumani o degradanti [3]subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

La corte aveva quindi condannato l’Italia al risarcimento di alcuni ex-detenuti per le condizioni di reclusione ritenute “inumane e degradanti” e quindi violanti l’ art.3 della Carta Cedu, ponendo l’attenzione sulla situazione delle carceri italiane ed al relativo problema legato al sovraffollamento.

La prospettiva che dovremo assumere nell’analizzare questo problema dovrà essere  tale che siano ricompresi una serie di dati che palesino l’importanza e la gravità del fenomeno a cui ci stiamo riferendo.

Sarà necessario quindi effettuare una manovra di raccordo e di confronto in relazione ai dati, alle opinioni della dottrina  ed alle criticità riscontrate cosicché si possa  ottenere una visione d’insieme il più possibile congrua, che permetta al lettore di comprendere la reale portata del problema collegando  i dati raccolti e  le analisi ad essi associate.

Questa grande attenzione ai dati non sarà fine a se stessa, volta a raccogliere una mera statistica, ma bensì sarà de facto un’analisi sociologica che investirà tutto ciò che riguarda il mondo dei reclusi presenti nelle strutture penitenziarie italiane posta anche in relazione con quelli che sarebbero potuti essere i vantaggi apportati dalla Riforma “Orlando”[4], basandoci sul contenuto del documento fornitoci dalla commissione “Giostra”.[5]

Fondamentale importanza acquisirà quindi questo confronto tra ciò che sarebbe potuto essere e non è stato;[6] il punto focale della nostra osservazione sarà, non tanto ricercare le differenze tra le norme attuali e le norme come proposte nel testo elaborato dalla commissione “Giostra” ma verificare come l’entrata in vigore della suddetta riforma “Orlando” avrebbe portato ad una significativa “sgrassatura” dell’ ingorgato sistema Penitenziario Italiano, non solo dal punto di vista della chiarezza normativa, introducendo vari ampliamenti per i potenziali accedenti ma altresì  giova sottolineare che questo alleggerimento sarebbe stato anche e soprattutto numerico, permettendo al sistema un grande respiro evitando allo stesso tempo, come operato in passato[7], di servirsi di strumenti[8] che in realtà non sono corredati da previsioni di reintegrazione e risocializzazione ma sono utilizzati con il mero scopo di svuotare le carceri ritenute oltremodo affollate.

Per comprendere in maniera essenziale il contenuto della riforma è sufficiente dare uno sguardo alle previsioni relative alle misure alternative alla detenzione[9],la cui portata veniva significativamente ampliata aumentando i limiti edittali delle pene per l’accesso ed introducendo automatismi per la concessione delle stesse.

Da questa premessa si può quindi facilmente intuire l’importanza dell’incidenza delle misure alternative alla detenzione nell’odierno sistema Penitenziario Italiano, che, considerate come un’unica grande entità, una colonna fondamentale su cui poggia l’intero sistema, senza la quale si assisterebbe ad un  “cedimento strutturale” delle strutture detentive presenti nel territorio Italiano già al limite della sopportazione.

Per avvalorare le affermazioni appena esposte sarà, quindi, necessario un accurato esame di una serie di dati riguardanti i numeri dei soggetti che si trovano in uno stato di privazione della libertà all’interno delle strutture penitenziarie Italiane, in modo tale da comprendere la portata del problema relativo al sovraffollamento detentivo ed i possibili profili di risoluzione che la riforma “Orlando “ avrebbe potuto offrire.

Il primo dato che sarà oggetto del nostro interesse sarà quello relativo al numero totale di detenuti presenti all’interno delle strutture penitenziarie su tutto il territorio Italiano, in modo da avere un dato preciso per un’idea più veritiera in relazione al problema del sovraffollamento di cui ci stiamo occupando.

Il numero totale dei detenuti ammonta quindi attualmente a poco più di sessantunomila unità[10],  numero che potrebbe non sembrare eccessivamente imponente ma il problema sta nel fatto che, come possiamo verificare immediatamente nella tabella sopra riportata, la capienza regolamentare totale di tutti gli istituti italiani ammonta invece a poco più di cinquantamila unità.

Da questi due dati contenuti nei report dell’Uepe è possibile quindi desumerne un altro, che ha messo in allarme tutti coloro che si occupano di diritto penitenziario e delle situazioni detentive delle carceri italiane, ossia il dato relativo al sovraffollamento.

Il tasso di sovraffollamento è pari al 119,8%, ossia il più alto nell’area dell’Unione Europea, seguito da quello in Ungheria e Francia[11], dato che preoccupa visto che in alcuni carceri si arriva addirittura ad un tasso di sovraffollamento pari al duecento per cento.[12]

Non v’è dubbio, quindi, che la situazione sia allarmante e per usare un espressione al passo coi tempi,  si può tranquillamente affermare che attualmente le carceri “scoppiano”[13] ed anche a causa  del naufragio della  riforma penitenziaria la situazione non sembra volta al miglioramento ed il rischio per l’Italia è quello di nuove sanzioni proprio come accaduto già in precedenza[14].

La situazione si presenta ai nostri occhi  come gravemente compromessa anche perché gli ultimi orientamenti governativi non sembrano essere indirizzati verso una riforma ispirata al concetto di rieducazione e decarcerizzazione, anzi, come abbiamo visto, si è ritornati ad un’esaltazione del sistema carcerico-centrico[15], che non fa sperare nulla di buono per quanto riguarda la situazione già complessa legata al problema del sovraffollamento carcerario. La condizione dei detenuti in Italia sembra  destinata a peggiorare progressivamente se si guarda anche ai ciclici “rifiuti” di allineare il sistema penitenziario Italiano a quelli più avanzati all’interno dell’Unione Europea[16].

Nei paesi scandinavi, si sono ottenuti risultati eccellenti con bassissimi tassi d’incarcerazione[17] proprio prediligendo le misure alternative alla detenzione piuttosto che la detenzione carceraria.[18]

In Svezia, è previsto l’istituto della ViliKorlig dom[19], cioè della condanna riguardo coloro ai quali la prognosi espressa dal giudice sia così favorevole da giustificare la sola sentenza di condanna con prova, limitandosi cioè a impartire al reo l’ordine di condurre una vita ordinata e rispettosa delle leggi, senza alcun intervento di sorveglianza da parte di organi pubblici o di operatori specializzati.[20]

Il sistema norvegese poi, spicca tra quelli che con più successo ha risolto il sovraffollamento[21], eliminando la magistratura di sorveglianza e creando un sistema di misure alternative disposte direttamente dall’amministrazione penitenziaria, ossia l’electronic monitoring, la probation e il parole sistem[22], puntando tutto sul pieno reinserimento sociale del condannato.[23]

Questi preziosi esempi vengono però  completamente ignorati, tutt’oggi, nonostante il collasso del nostro sistema detentivo, e si preferisce ancora la carcerazione come soluzione primaria[24]e non come extrema ratio[25].

Dopo la disamina appena compiuta, verrà  da chiedersi perché non si è implementato tutto l’apparato che riguarda le misure alternative alla detenzione  che avrebbe potuto rappresentare una vera e propria “manna dal cielo” per risollevare un sistema non più idoneo a soddisfare le grandissime richieste di carcerazione degli ultimi due decenni.

La principale causa di questo sovraffollamento è relativa ad una serie di fattori, tra cui uno dei principali è sicuramente  l’incremento dei soggetti condannati alle pene più lunghe e ad una diminuzione del numero di coloro che sono condannati alle pene detentive definite brevi,[26]tant’è che in “ generale dal 2008 al 2017 le condanne inferiori ai 5 anni sono diminuite del 30%, passando da 143.783 a 100.661, mentre quelle più lunghe sono aumentate del 53%, passando da 2.585 a 3.954”[27].

Ciò ovviamente porta anche ad una riflessione relativa alle misure alternative, in quanto se i soggetti che sono destinati alle pene detentive più alte[28]continuano ad aumentare in contrapposizione con il numero di coloro che invece sono destinati a pene detentive brevi, l’applicazione nel nostro ordinamento delle misure alternative alla detenzione non potrà che calare drasticamente, facendo così  aumentare esponenzialmente il problema legato al sovraffollamento.

Si è quindi riscontrato come negli ultimi anni il numero degli ingressi in carcere si sia  dimezzato e  la diminuzione nel numero di reati si possa misurare anche nel breve termine.

Nel 2017, per esempio, il calo dei delitti è stato di quasi il 2,5 per cento, nel 2018 è arrivato vicino al 10 per cento, nei primi 4 mesi del 2019 di quasi il 15%,[29] ma il numero di detenuti aumenta semplicemente perché a parità di reati i giudici assegnano pene più lunghe.

Avendo compreso quindi, quali sono le principali cause del sovraffollamento delle strutture penitenziarie in Italia, la domanda che nella nostra analisi rivestirà una fondamentale importanza sarà dunque quella relativa ai benefici in termini numerici che avrebbe portato la riforma “Orlando,” concentrandoci  in una disamina che sia volta a verificare, mediante la correlazione dei dati disponibili, l’alleggerimento al sistema che quest’ultima avrebbe determinato[30] con riferimento  alle previsioni che erano state  pensate per le misure alternative alla detenzione dalla sopracitata commissione “Giostra”     nel Testo della Riforma dell’ordinamento penitenziario elaborata dalla Commissione istituita con D.M. 19 luglio 2017 confluito nella legge Delega 23 Giugno 2017.

L’obbiettivo di questa particolare analisi verterà sul quantificare, ovviamente non con precisione assoluta in quanto si effettuerà un’elaborazione statistica,  le percentuali di assegnatari potenziali alle misure alternative alla detenzione che avremmo avuto, nel nostro ordinamento, qualora fosse stata approvata la riforma “Orlando” con le sue originali previsioni elaborate dalla Commissione “Giostra”.

Inoltre, saranno anche effettuate delle considerazioni relative al miglioramento della condizione detentiva che si sarebbe raggiunto nel nostro sistema penitenziario grazie proprio alla eventuale  diminuzione di popolazione detenuta che si sarebbe verificata, eventualità che sarebbe stata fondamentale visto che ad oggi il tasso di sovraffollamento carcerario[31] ha addirittura sfiorato, come abbiamo già avuto modo di esaminare, la percentuale record del 119%.

Per l’elaborazione che ci apprestiamo ad effettuare in questa parte finale della nostra analisi, sarà necessario quindi avere familiarità con dei dati fondamentali per comprendere i reali problemi connessi al sovraffollamento, ossia quelli relativi alle percentuali ed ai numeri dei soggetti detenuti in base al range di anni di pena per la quale sono stati condannati e per i quali stanno scontando  la loro condanna nelle strutture penitenziarie preposte sul territorio dello Stato Italiano.

Come sappiamo, per ciò che riguarda le misure alternative alla detenzione, ossia L’Affidamento in prova al servizio sociale, La detenzione domiciliare e La semilibertà, la possibilità di concessione è subordinata ad una serie di requisiti contenuti negli articoli relativi alle discipline di quest’ultime,[32]tra cui spicca quello relativo alla pena a cui è destinato il soggetto, sia in totale che residua.

Come abbiamo avuto modo di vedere, infatti, vi sono differenti “tetti”  di pena che è necessario non superare se si vuole avere la possibilità di accedere ad ognuna delle suddette misure.

Tra tutte le misure alternative alla detenzione, quella che presenta la maggiore accessibilità in termini di pena inflitta intesa nella totalità o residua è La detenzione domiciliare poiché si prevede che” la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a), in case famiglia protette..”,[33] si evince dalla suddetta dicitura che il limite per la concessione della stessa in relazione alla pena è di anni quattro.

Differentemente per la misura alternativa dell’Affidamento in prova al servizio sociale, ci troviamo di fronte ad un diverso limite relativo alla pena in quanto “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.”[34]

Infine l’ultima misura alternativa alla detenzione da noi considerata, la semilibertà, fa riferimento ad un limite di pena decisamente più basso rispetto alle altre due, infatti è previsto che ” Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.”[35] Tuttavia nei commi successivi si fa riferimento ad ipotesi particolari che permettono l’accesso alla misura anche per residui maggiori;[36] necessario però ricordare come questo tipo di previsione alternativa sia scarsamente applicata nel nostro ordinamento.

L’Incidenza Delle Pene Detentive Brevi Nel Sistema Penitenziario

Proseguendo la nostra analisi sul tema relativo ai benefici numerici di accedenti alle misure alternative che la riforma”Orlando” avrebbe portato, sarà necessario prendere in considerazione in prima battuta i dati globali, i soggetti destinati a pene infraquadriennali, mettendo poi in correlazione questi dati con quelli sovraesposti sul sovraffollamento delle strutture penitenziarie.

L’indicazione più interessante alla quale dobbiamo prestare più attenzione riguarda, , come abbiamo già fatto presente precedentemente,  il range  di pena alla quale sono destinati i detenuti presenti nelle strutture, che per quanto riguarda le condanne inflitte, rivela che circa dodicimila detenuti[37] sono destinati ad una pena che va dagli zero[38] ai quattro anni, su un totale di quarantunomila unità condannate in via definitiva.

Da qui si evince che i soggetti con una condanna definitiva, il quale range di pena è compatibile con la concessione delle misure alternative, riguarda una vastissima platea di detenuti, pari addirittura al 30% del totale di coloro che hanno alle spalle una condanna definitiva.[39]

Questa ultima statistica però, è relativa solo ed esclusivamente a coloro i quali è stata inflitta una condanna definitiva inferiore ad anni cinque e non tiene conto di tutti quei soggetti  nei confronti dei quali è stata comminata una pena di maggiore entità non soggetta alla possibilità di accesso alle misure alternative, ma che col trascorrere del tempo, hanno raggiunto la soglia per richiedere l’accesso alle stesse seppur la pena inizialmente comminata era di entità maggiore di anni quattro.

Per rendere completa questa nostra analisi, sarà quindi necessario prestare attenzione ad un altro tipo di dati, ossia quelli relativi ai detenuti presenti per pena residua all’anno corrente, che ricomprende dunque tutti coloro presenti nelle strutture penitenziarie, in base al residuo di pena da scontare spettante ad ogni singolo soggetto, senza distinguere quindi il tipo di reato o la  lunghezza iniziale della condanna nei confronti del singolo soggetto.

La Decarcerizzazione Come Unica Soluzione

Si comprende quindi che quest’ultima risultanza è decisiva per le considerazioni che ci apprestiamo ad effettuare sul sovraffollamento delle strutture penitenziarie.

E’ sempre necessario ricordare al lettore che la presente elaborazione terrà conto  principalmente del  novero di soggetti potenziali accedenti alle misure alternative alla detenzione che sono presenti all’interno delle strutture penitenziarie, mettendo in luce come il potenziamento previsto dalla riforma “Orlando” e culminato nel Testo della Riforma dell’ordinamento penitenziario elaborata dalla Commissione istituita con D.M. 19 luglio 2017 confluito nella legge Delega 23 Giugno 2017[40], avrebbe giovato al nostro sistema penitenziario, tenendo conto, però, che questa elaborazione  dati[41] è da considerarsi in via prettamente percentualistica.

Terminata questa premessa, esaminando i rapporti del Dap e del Ministero della giustizia emerge un dato sorprendente, [42] molto spesso poco considerato dal legislatore e dall’opinione pubblica; infatti a dispetto di ciò che si crede all’interno delle nostre strutture penitenziarie si trovano,  tra coloro con almeno una  condanna in via definitiva, circa ventottomila soggetti che si trovano a scontare un residuo di pena che va dagli zero ai quattro anni, quindi facciamo riferimento a ventottomila potenziali accedenti alle misure alternative alla detenzione presenti nelle strutture penitenziarie.

Questo numero piuttosto rilevante può considerarsi tale anche grazie al dato percentualistico che queste ventottotomila unità rappresentano; confrontando questo dato con i dati totali  sovraesaminati si evince che coloro che sono destinati ad una pena residua breve[43] rappresentano l’altissima percentuale del 48% del totale di tutti i detenuti presenti all’interno delle strutture penitenziarie e considerando  anche coloro che non hanno ricevuto una condanna definitiva ma che già si trovano negli istituti penitenziari, i quali rappresentano il 34,5% del totale[44] tra l’altro di ben dodici punti percentuali sopra la media europea che si attesta al 23%.

Ancora più impietoso risulta il dato relativo a coloro che devono scontare un residuo di pena inferiore o pari ad anni quattro, se si compara questo dato a quanti soggetti sono detenuti con almeno una condanna definitiva.

Infatti tra coloro che hanno almeno una condanna definitiva, la percentuale di soggetti con una pena residua tra gli zero e quattro anni si attesta addirittura intorno al 58% del totale,[45]  dato ottenuto mettendo  a confronto le ventottomila unità con una pena residua tra zero e quattro anni con il totale di soggetti con una condanna definitiva che ammonta a circa quarantunomila unità.

Questa ulteriore analisi statistica, lungi dall’essere superflua, viene presentata non per semplice volontà di sciorinare dati  per confondere il lettore ma piuttosto perché proprio il confronto  tra i vari dati forniti dal Ministero Della giustizia evidenzia  ancora di più l’importanza che avrebbe avuto la riforma “Giostra” la quale puntava, alla creazione di una serie di automatismi per la concessione delle misure alternative ed all’ampliamento della concessione delle stesse.[46]

Questi dati servono quindi per mettere in chiaro che il numero potenziale di accedenti, per quanto riguarda il sistema italiano è altissimo tant’è che i reclusi con una pena residua da zero a quattro anni rappresentano ben il 48% del totale, come già messo in luce nella parte iniziale della nostra analisi, ed è  proprio questo il dato  di cui bisogna tener maggiormente conto nell’affrontare il problema del mancato ampliamento delle misure alternative alla detenzione in Italia.
Tutti questi dati,  non possono che portare ad una serie di considerazioni piuttosto critiche sulla mancata attuazione della riforma; ipotizzando verosimilmente che di queste ventottomila unità di potenziali accedenti alle misure alternative alla detenzione si debba sicuramente espungerne poche migliaia poiché vi sono una serie di casi per i quali non è possibile accedere alle stesse misure per via delle preclusioni normative[47]relative, ad esempio, a soggetti che hanno commesso particolari tipi di delitti, ritenuti di particolare gravità dal legislatore, il numero dei possibili accedenti resta significativo.

Queste considerazioni rafforzano ancora di più l’idea che si sia persa un’occasione storica[48] per il cambiamento del sistema penitenziario soprattutto in un momento di grande difficoltà come quello che sta vivendo il sistema penitenziario stesso, soprattutto nell’ultimo quinquennio[49].

I dati fin qui considerati  offrono, dunque, uno spunto per una riflessione di cruciale importanza per comprendere ancora di più quanto questa riforma avrebbe giovato al sistema nella sua interezza ed in particolare il potenziamento e l’inserimento di automatismi in relazione alle misure alternative alla detenzione.

Immaginando infatti che anche mediante le innovazioni contenute Testo della Riforma dell’ordinamento penitenziario elaborata dalla Commissione istituita con D.M. 19 luglio 2017 confluito nella legge Delega 23 Giugno 2017, si riuscisse a destinare anche solo il 30% di queste ventottomila unità[50] alle misure alternative alla detenzione  si otterrebbe un risultato che avrebbe dell’incredibile.

Si parlerebbe infatti di circa novemila unità destinate ad un percorso alternativo alla detenzione, cosa che permetterebbe al sistema penitenziario Italiano di azzerare il sovraffollamento delle strutture,  essendo il tetto massimo di detenuti superato di circa diecimila unità.

Ovviamente bisogna precisare, per chiarezza espositiva, che si parla di dati reali ma di situazioni ipotetiche, poiché come abbiamo affermato già in precedenza sarebbe necessario, per effettuare una precisa stima numerica, conoscere le situazioni penali e le eventuali preclusioni in capo ad ogni detenuto, cosa che chiaramente risulta impossibile.

Amare Riflessioni: Ciò Che Poteva Essere e Non è Stato

Seppur ipotetica però, questa nostra ultima analisi espone a dei fortissimi dubbi su quello che è il sistema penitenziario Italiano attuale,  che ancora oggi è ispirato da un paradigma “Carcerico-Centrico[51] piuttosto che ad uno rieducativo, soprattutto considerando che il problema del sovraffollamento carcerario può definirsi legato con un filo ben stretto al mancato ampliamento delle misure alternative alla detenzione,  nonostante si faccia finta di “non vedere” e si continui a negare la funzione di “salvatrici del sistema” che queste misure potrebbero avere, derubricandole a misure che favoriscono i delinquenti per il prosieguo delle loro attività criminali.

Viene tralasciata completamente la funzione fluidificante di quest’ultime che se potenziate[52] avrebbero costituito un’arma in più per evitare l’ingorgo del sistema penitenziario e concesso maggiori opportunità rieducative ad una platea di soggetti più ampia rispetto a quella odierna.

Il naufragio della riforma “Orlando”, nella parte relativa alle modifiche sull’ordinamento penitenziario, rappresenta quindi, non solo un passo indietro per quanto riguarda le previsioni relative alle misure alternative , le cui previsioni rispecchiano ancora esigenze ormai superate da parecchi anni, ma rappresenta anche un clamoroso autogol per tutto ciò che riguarda l’annoso problema del sovraffollamento detentivo  per il quale si cerca da anni una soluzione.

La soluzione infatti seppur sembri essere palesemente quella relativa all’impostare il sistema detentivo sul paradigma rieducativo, ad oggi viene invece  rintracciata nella costruzione di nuove strutture penitenziarie tacciando di inutilità le misure alternative alla detenzione, demonizzate  e considerate alla pari di misure “svuota carceri” come l’indulto e l’amnistia.

Quest’ultime hanno  infatti un “carattere” ben determinato volto a fare in modo da costruire un percorso rieducativo ed evitare la dolorosa esperienza carceraria per chi abbia commesso dei reati considerabili come minori,[53] evitando così la stigmatizzazione[54] del reo senza considerare anche l’effetto benefico delle misure alternative  sulla rieducazione e reinserimento del reo nel tessuto sociale.

Infatti per il 94,28%[55] dei soggetti destinati alle stesse il programma di reinserimento viene concluso con successo intercorrendo la revoca solo nel 5,72% dei casi[56].

Purtroppo è evidente come per l’ennesima volta riguardo al sistema penitenziario ed i problemi che affliggono lo stesso, la volontà sia stata quella di lasciare la situazione immutata e sicuramente possiamo affermare come questa scelta non sia basata sullo studio dei dati e delle reali criticità presenti all’interno del sistema stesso, ma bensì sulla paura verso il criminale come “entità mostruosa”, dettata molto probabilmente dalla mancanza di attenzione a tutta la moltitudine di dati che confermano senza particolari dubbi la necessità di un potenziamento delle misure alternative alla detenzione nonché la necessità di  ampliare la platea degli accedenti per risolvere il problema del sovraffollamento detentivo.

Nonostante la possibilità di  ricorso alle soluzione sopra citate, si è dunque preferito, a discapito delle chiare esigenze strutturali e normative,  rimanere in questa assurda situazione di stallo, che non giova né alla collettività che deve comunque sostenere le enormi spese di una macchina penitenziaria allo stremo delle sue forze, né ad i soggetti potenzialmente accedenti alle misure stesse.

In Conclusione non si può che auspicare che un domani, si riescano a realizzare migliorie del sistema penitenziario anche se, per completare il quadro delle assurdità, nemmeno l’impulso dato dalla sentenza “pilota” Torreggiani,[57] che aveva sancito la contrarietà all’Art 3 della CEDU delle condizioni detentive alle quali erano stati sottoposti alcuni detenuti, sembra aver sortito il suo effetto, nonostante la condanna inflitta all’Italia.

In ultimo, per comprendere l’importanza del tema trattato è necessaria una considerazione finale sulle misure alternative alla detenzione in quanto molto spesso vengono viste come un modo per “farla franca”[58] quando in realtà sono dirette proprio a realizzare la funzione rieducativa contenuta nell’articolo 27.2 della nostra Costituzione che afferma in maniera imperativa che “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Da questa riflessione emerge ancora maggiormente  come la Riforma Giostra sarebbe potuta essere la chiave per la risoluzione di molti problemi a livello detentivo ma evidentemente si è scelto di <<non voler aprire la porta>>.

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