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Politica: Giudici Così Refrattari All'Esercizio Della Critica

L`uomo non diventa automaticamente dritto solo perché ha vinto un concorso e le sue sentenze non hanno una natura politica solo perché formulate in nome della legge.

Dal Corriere della Sera – di Piero Ostellino

Politica: quei giudici così refrattari all’esercizio della critica

Forse, è venuto il momento di chiedersi realisticamente attraverso quali canali passano, nell’Italia d’oggi, repubblicana, laica, democratica, antifascista, il rifiuto dello spirito critico – che è, poi, il tentativo, neppure tanto indiretto, di imbavagliare il sistema informativo – e la negazione degli stessi sviluppi della deriva totalitaria in corso. Non passano attraverso i canali del Parlamento e, in generale della politica; partiti e uomini politici – che pur in proposito non si fanno mancare niente e tendono a nascondere la mano dopo aver tirato il sasso – sono, evidentemente, anche troppo compromessi per affrontare, per via giudiziaria, eventuali critiche serie. Passano, piuttosto, attraverso i canali di un sistema giudiziario che – al riparo della propria indipendenza politica, ma non ideologica – si ritiene al di sopra, non solo di ogni sospetto, ma anche di giudizio, cioè «in speciale missione, da parte di Dio, per redimere gli uomini».

Una sorta di moralismo questa, che è, poi, l`anticamera di ogni totalitarismo… E’ infatti sufficiente esprimere un qualche giudizio critico su una sentenza e rivelarne – ancorché entro gli ambiti i concettuali di un`opinione politicamente argomentata – l`oggettiva natura di supplenza politica, perché scatti, da parte di qualche procura o di singoli giudici, la denuncia, spesso assiomatica e poco argomentata, di «diffamazione per mezzo stampa», con relativa richiesta di spropositati indennizzi finanziari. Dopo che un`altra sentenza ha contraddetto e annullato quella in questione, la denuncia, se reiterata, finisce, inoltre, con assumere una ambigua, arbitraria, doppia funzione. Prima: di sanzionarlo e, allo stesso tempo, di mandare un messaggio intimidatorio al giornalista, colpevole solo di aver fatto il proprio mestiere e di aver rilevato, entro limiti politicamente argomentati, l`oggettiva natura di «supplenza politica» assunta dalla sentenza stessa. Seconda: di sanzionare e, allo stesso tempo, di mandare un altro «avvertimento», questa volta agli editori del giornale oggetto di denuncia: badate che, se non mettete a tacere quel giornalista, e chiunque altro lo voglia imitare, le richieste di indennizzo saranno, d`ora in poi, più pesanti.

La dura realtà è che quel «legno storto», che è l`uomo per sua stessa natura, non diventa automaticamente dritto solo perché ha vinto un concorso e le sue sentenze non hanno una natura politica solo perché formulate «in nome della legge». Che l`uomo-magistrato non sia «il legno storto dell`umanità» ma sia, per definizione, dritto, è, diciamola tutta, solo una presunzione, ben coltivata e propagandata, dal marketing razionalistico settecentesco e dagli interessi corporativi novecenteschi degli stessi interessati. Tutto sta, allora, nel prendere atto che, per dirla con Montesquieu, quel terribile mestiere che consiste nel giudicare il prossimo non è esente da imperfezioni, ma è perfettibile come ogni altra manifestazione umana e, in quanto tale, inevitabilmente esposto a giudizio critico. È sufficiente sapere, allora, che, in un Paese civile e in un ben organizzato sistema giudiziario, agli (eventuali) errori può ovviare lo stesso sistema, sia attraverso i suoi vari gradi di giudizio, come già accade, anche se da noi con colpevoli tempi biblici, sia, in caso di malizia accertata, attraverso l`organo di autogoverno degli stessi magistrati, il Consiglio superiore (Csm). Sempre che esso non si riduca, come tende a fare, a rappresentare un`altra istanza corporativa fra, e contro, le tante in cui è frazionato il Paese…

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