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serve giustizia misura cittadini

Nel pieno della ripresa dall’epidemia di coronavirus, la giustizia sembra avere dimenticato i bisogni reali dei cittadini. Vi proponiamo un articolo di Rosaria Manconi pubblicato su La Nuova Sardegna sulla necessità di creare una giustizia su misura per i cittadini.


Rosanna Manconi, La Nuova Sardegna, 4 Giugno 2020.

Solo pochi mesi fa, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Ministro della Giustizia ha sottolineato l’importanza di guardare la giustizia attraverso gli occhi dei cittadini e ha rassicurato circa la solidità delle fondamenta su cui si stava realizzando un nuovo sistema per consegnare “un processo idoneo a rispondere alle istanze di giustizia, garantendo tempi certi”.

Ecco questo per il Ministro sarebbe un buon momento per cambiare visuale e porsi nel punto di osservazione dell’utente e magari spiegare a che punto sia quel progetto di riforma ordinamentale con cui si vorrebbe rafforzare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, incidendo “sull’interruzione di ogni possibile commistione con la politica”, e snellire, modernizzare, rendere efficiente il processo.

Crediamo, però, che potrebbe rimanere deluso da questa diversa prospettiva, che altro non offre se non un fermo immagine. Ombre nere che si stagliano su uno sfondo opaco. Giustizia bloccata in un momento in cui tutti i settori del paese riprendono a funzionare.

Come se l’epidemia si fosse annidata dentro i Tribunali, nelle aule di udienza, desolatamente vuote, Mentre la società civile attende risposte alle istanze di giustizia e l’avvocatura chiede a gran voce di tornare a svolgere la propria funzione.

Così si trova il nostro apparato giudiziario. In una condizione di fermo e oscurità, che non è nuova, né casuale. In cui si agita quell’irrisolto nodo della separazione dei poteri e il difficile equilibrio tra gli organi istituzionali, essenza del sistema democratico.

Costantemente compromesso dal prevalere dell’uno rispetto all’altro o, peggio ancora, dalla loro commistione. Incomprensibile per i cittadini, abbandonati a sé stessi o, peggio, lasciati in balia di una informazione urlata e parziale. Come se il funzionamento della giustizia non avesse a che fare con la cura dei loro diritti.

Viene in mente il mito della caverna, uno dei passi più interessanti dei dialoghi di Platone de “La Repubblica”: uomini chiusi nella oscurità, con lo sguardo sempre rivolto verso un muro e così strettamente incatenati da non potere vedere l’uscita. All’interno, con il favore di un fuoco acceso, qualcuno proietta immagini che i prigionieri credono reali. Una metafora poetica molto efficace per affermare che prima e fondamentale condizione per realizzare la giustizia è la conoscenza vera della giustizia. A cui si giunge solo liberandosi dalle catene per accedere alla reale consistenza delle cose del mondo.

Pur con i necessari adattamenti, il mito risulta straordinariamente moderno ed attuale. I prigionieri siamo noi, i cittadini. Esclusi dalla conoscenza, vittime delle opinioni ed orfani di buoni governanti. Noi che attraversiamo un momento storico in cui una potente forma di sapere manipolatrice viene esercitata su frammenti della realtà ed in cui le suggestioni prevalgono sui fatti.

Sui quali è doveroso fare luce, magari partendo da quelli più recenti. Chiarendo, ad esempio, ai cittadini sbigottiti, se la “questione morale” che non da oggi ha travolto la magistratura e il suo organo di autogoverno, il CSM, si risolva in una questione tutta interna, una volgare guerra di poltrone e interessi personali.

O se piuttosto l’inquietante intreccio fra poteri politici, economici e mediatici emerso da quella parte di intercettazioni rese pubbliche non interferisca con la funzione giurisdizionale e con i principi della indipendenza, imparzialità e terzietà che la sorreggono. Se non sia a rischio la stessa democrazia del Paese.

Per sgombrare il campo da ogni dubbio sarebbe anche utile chiarire se questa accertata commistione fra potere giudiziario/esecutivo/legislativo, abbia o meno prodotto strumentalizzazioni in danno degli ignari cittadini.

A partire dalla legislazione di emergenza, sino al blocco della prescrizione, per arrivare allo svolgimento del processo fuori dalle aule di udienza ed ai recenti interventi legislativi in materia di ordinamento penitenziario. Ma soprattutto se il ciclone che ha travolto la giustizia abbia qualcosa a che fare con le lentezze, le distorsioni e le falle del sistema. Se, insomma, di questa giustizia ci si può davvero fidare.

La domanda è pleonastica e noi non siamo ingenui. Non ci sarà alcuna risposta. Il non facile compito di raccontare i fatti così come sono se lo dovrà assumere, come sempre, l’avvocatura.

Coinvolgendo, come costantemente ha fatto l’Unione Camere Penali Italiane, l’opinione pubblica in un dibattito schietto e coraggioso, che pone al centro quel conta davvero e di cui nessuno pare curarsi in questo marasma: la tutela dei diritti delle persone.

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