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tribunale smarrisce appello sentenza un calabrese finisce in carcere senza motivo

Questo articolo scritto per Il Corriere Della Calabria dal giornalista Fabio Benincasa racconta la vicenda di Salvatore Parilla, finito in carcere per errore.


Fabio Benincasa, Il Corriere Della Calabria, 26 aprile 2021.

Riavvolgiamo il nastro e torniamo a dicembre 2012. Salvatore Parrilla viene condannato in primo grado con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti, in concorso con altre persone.

I suoi legali difensori, gli avvocati Francesco Calabrò e Paolo Viceconte, propongono appello e depositano l’atto presso la cancelleria del Tribunale di Cosenza il 27 aprile 2013, regolarmente trasmesso al Tribunale di Siena il 29 aprile».

Da quel momento i legali non riceveranno nessuna informazione sul processo. «Abbiamo chiesto più volte lumi sull’udienza – confessa l’avvocato Calabrò al Corriere della Calabria – ma nessuno sapeva fornirci informazioni utili».

Tutto tace, l’avvocato conserva il fascicolo con le carte del procedimento nel suo personale archivio ed attende risposte in merito alla causa che vede coinvolto il suo cliente.

«Parrilla era a piede libero – sottolinea il legale – non c’era motivo di preoccuparsi». Tutto tace fino allo scorso mese di febbraio, quando la Questura di Roma notifica al legale l’esecuzione dell’arresto emesso dalla procura di Siena nei confronti di Parrilla, residente da tempo nella Capitale.

«Dopo l’arresto – aggiunge l’avvocato Calabrò – ho immediatamente contattato la procura di Siena e annunciato il ricorso presentato nel 2013». Il Tribunale senese avvia i controlli, rinviene i documenti del caso ma in allegato non c’è nessuna traccia dell’atto di appello e di conseguenza rende irrevocabile il mandato d’arresto nei confronti di Parrilla.

Nel frattempo, «il Tribunale di Siena – continua l’avvocato Calabrò – con ordinanza, dichiara la propria incompetenza (formale) sostenendo che quell’ordine di esecuzione non poteva e non doveva essere emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, bensì dalla procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma.

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Roma, senza pronunciarsi in ordine alla liberazione del ricorrente. Mentre il fascicolo transitava (per posta ordinaria) da Siena a Roma, Parrilla restava recluso nella sua cella nel carcere di Roma “Regina Coeli».

Di giorni ne passano diversi prima che il fascicolo giunga a Roma, tanto che, il Presidente della Corte d’Appello, non avendo ricevuto nulla per vie ufficiali (dal Tribunale) «richiedeva alla stessa difesa di fornire copia degli atti».

«Cosa che – sottolinea Calabrò – abbiamo fatto, immediatamente, trasmettendo tutto quanto in nostro possesso mediante un semplice messaggio di posta elettronica certificata».

Solo così, ricevuti gli atti dalla difesa, il Presidente della Corte d’Appello di Roma ha potuto fissare l’udienza del 31 marzo e disporre, al termine, sentite le parti e senza indugio, la liberazione di Parrilla.

«Significativo il fatto che – aggiunge l’avvocato – sia stato lo stesso Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma nel corso dell’udienza a sollecitare la Corte (che da lì a poco si sarebbe, anch’essa, dichiarata incompetente a trattare l’incidente di esecuzione) all’immediata liberazione del ricorrente sostenendo la necessità di lasciar prevalere esigenze di giustizia sostanziale a mere questioni di carattere».

La vicenda non è conclusa. In attesa della pronuncia sulla posizione di Parrilla, gli avvocati Calabrò e Viceconte hanno segnalato il caso al Ministero di Grazia e Giustizia «per gli eventuali provvedimenti che vorrà adottare al fine di evitare che, episodi del genere, non abbiano più a verificarsi».

«Ciò che lascia senza parole – confessano gli avvocati – non è tanto il fatto che il Tribunale di Siena abbia smarrito l’atto di impugnazione, cosa che pur non dovendo, può accadere, quanto che una volta segnalato e adeguatamente dimostrato il grave errore, nelle forme che il codice di rito prevede, lo stesso Tribunale non si sia adoperato nell’immediato per porre fine all’ingiusta carcerazione rifugiandosi in inutili formalismi poi superati solo dalla Corte d’Appello di Roma».

Inutile dire che la difesa ha già segnalato la vicenda al Ministero di Grazia e Giustizia per gli eventuali provvedimenti che vorrà adottare al fine di evitare che, episodi del genere, non abbiano più a verificarsi.

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