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Condannati (fantasmi), 40-60 mila in attesa del verdetto dei Tribunali
Migliaia di persone condannate al carcere aspettano per anni di sapere se andranno in cella o saranno affidate ai servizi sociali perchè manca il personale nei Tribunali di sorveglianza.

Dal Corriere della Sera, Mercoledì 26 Luglio 2017, articolo di Giuseppe Guastella

Un esercito di fantasmi giudiziari si aggira per l’Italia, decine di migliaia di persone che sono state condannate al carcere vivono come sospese in un limbo chiedendosi se saranno affidate in prova ai servizi sociali o se andranno in cella. C’è chi vorrebbe tornare a una vita normale, ma non può finché non ha chiuso i conti con la giustizia, e chi in carcere dovrebbe andarci immediatamente, ma grazie ai ritardi ha ripreso e continua a delinquere.

Liberi-sospesi

Sono i «liberi-sospesi», coloro che sono stati condannati a pene inferiori a 3 anni di reclusione (in alcuni casi anche a 4 o a 6 se tossicodipendenti) e hanno potuto chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali e che, in attesa che il Tribunale di sorveglianza decida sulla loro sorte, hanno ottenuto dalla Procura la sospensione dell’esecuzione della pena, cioè non vanno in carcere. Non ci sono dati su quanti siano, perché non esiste una rilevazione a livello nazionale, ma potrebbero essere tra le 40 e le 60 mila unità secondo alcune stime. Nella stragrande maggioranza si tratta di persone che hanno sbagliato una sola volta nella vita commettendo reati generalmente non gravi, anche se talvolta la pena è scesa sotto i tre anni grazie alle sostanziose riduzioni garantite dai riti alternativi e attenuanti. Quasi tutti vogliono mettere a posto la loro situazione presto, perché come «sospesi» possono avere problemi di lavoro oppure non possono uscire dall’Italia. Tra le fila di questo esercito si nascondono anche delinquenti che erano riusciti sempre a farla franca e se la cavano ancora, anche adesso che sono finiti nelle maglie della giustizia, perché navigando in una fase indefinita, possono commettere altri reati finché i Tribunali di sorveglianza non esaminano i loro casi accorgendosi che non meritano affatto la misura alternativa grazie alle indagini dell’Uepe (l’ufficio che si occupa dell’esecuzione penale esterna al carcere) e delle forze di polizia. «La maggior parte dei liberi-sospesi ottiene l’affidamento, il che vuol dire che non sono delinquenti e che il rischio che commettano altri reati è basso», spiega Francesco Maisto, di recente andato in pensione dopo essere stato presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, secondo il quale «questa è una situazione diseducativa perché, affinché una pena sia efficace, essa deve arrivare il più presto possibile anche in una forma alternativa al carcere».

Carenze di personale

La causa principale dei ritardi è dovuta alla carenza di personale negli Uffici e nei Tribunali di sorveglianza dove manca un numero di magistrati e di unità di personale amministrativo sufficiente a far fronte alla massa di lavoro che arriva ogni giorno, così come nell’Uepe dove gli assistenti sociali non riescono a svolgere tutte le indagini che vengono richieste. A Milano, ad esempio, il Tribunale di sorveglianza può contare su 13 magistrati impegnati negli Uffici di sorveglianza del distretto a fronte di un organico che ne prevede 19, una scopertura di oltre il 30% dei posti previsti. Analoga è la situazione tra il personale amministrativo. Al 15 giugno scorso erano pendenti 14.110 fascicoli di cui ben 10.971 relativi ai soli «liberi-sospesi». Gli stessi 13 magistrati devono poi occuparsi anche di chi è già affidato in prova, è in detenzione domiciliare o ha ottenuto una delle altre misure alternative e di qualcosa come 6.567 detenuti, 505 a testa, il cui numero è tornato a crescere in maniera vertiginosa e costante.

Anni di attesa

Le richieste di chi è in carcere, anche quelle apparentemente meno importanti, hanno la precedenza rispetto a quelle dei «sospesi» che essendo, appunto, liberi finiscono in coda alla fila. Ci sono casi di persone che hanno commesso reati alla fine degli anni ’90, sono condannate definitivamente e aspettano di ottenere l’assegnazione ai servizi sociali da 3-4 anni, nel frattempo si sono reinserite nella società, hanno cambiato vita, non sono più ciò che erano prima, ma non sono ancora riuscite a chiudere il conto con la giustizia. «A fronte di migliaia di condanne in tutta Italia ci sono solo poco più di 170 magistrati di sorveglianza che si devono occupare di tutto», dichiara Marcello Bortolato, segretario del Conams (Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza) e presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze. «Siamo pochi e le risorse sono scarsissime, il problema è che in Italia ci si occupa molto dei processi e molto poco della parte esecutiva che viene dopo», aggiunge Bortolato che riconosce, comunque, che il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha aumentato gli organici, anche se ritiene che non sia stato fatto in maniera adeguata per far fronte alle esigenze. Il dipartimento del ministero sta studiando nuove prassi e nuovi strumenti organizzativi.

Più udienze

Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano Giovanna Di Rosa, che ha ereditato una delle situazioni più allarmanti in Italia, ha aumentato le udienze e riorganizzato le procedure, ma la coperta resta sempre corta. «Come si può pensare di rispettare in questo modo il principio secondo il quale la giustizia si compie con l’esecuzione della pena?», si chiede Di Rosa preoccupata anche perché «ogni ritardo è un’istanza sulla libertà personale di qualcuno sulla quale non si decide».

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