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In Carcere Ci Vanno Solo I Poveri

Dalle nostre inchieste è risultato un dato sconcertante: nemmeno i parenti più prossimi trovano le risorse per pagare le parcelle degli avvocati, anche di quelli onesti. “O paghiamo i legali o ci si priva del cibo per vivere”, così dicono.

Dal Corriere della Sera del 21 settembre 2016, di Massimo Krogh

INTERVENTI E REPLICHE
Giustizia: i processi penali

Ernesto Galli della Loggia, con l’editoriale «La grande impunità italiana» (Corriere, 19 settembre), ha offerto un quadro deprimente, ma assolutamente realistico della nostra giustizia, una giustizia non uguale per tutti, perché manda in galera solo i poveracci. Galli della Loggia tratta il tema con competenza e scrive cosa esattissima quando afferma che il nostro processo penale è imbastito di una farraginosa rete burocratica che consente, a chi può pagarsi un buon avvocato, di creare alla sentenza un percorso a ostacoli il cui sbocco, anche con il favore dei lunghi tempi e della prescrizione, può essere un nulla di fatto. Chi non può permettersi il buon avvocato, difeso d’ufficio finisce sbrigativamente in prigione. Ciò, come nell’editoriale si sottolinea, non avviene negli altri Paesi del mondo avanzato. Verissimo; ma da noi vi fu Tangentopoli e quindi occorre aggiungere qualcosa.
Con Tangentopoli nacque una nuova Repubblica, una Repubblica nella quale la chiave di lettura del «bene» veniva affidata ai giudici, sotto un’ondata che saliva dalla gente, stanca della corruzione dilagante e fiduciosa nell’unica istituzione che pareva essersene sottratta. Quest’affidamento, peraltro, si è stabilizzato divenendo l’anomalia del nostro Paese, dove il rito processuale accusatorio, introdotto nel 1988 e mal copiato dalla Common law, si è trasformato in una sorta di «governo dei giudici», e per una confusione dei valori, tutto ciò che non va nella carente amministrazione del Paese è riversato nel settore penale. La conseguenza è l’ampiezza di uno scenario che non consente di fare i processi in tempi ragionevoli, esaurendo l’effettività della funzione punitiva nei confronti di chi non ha i mezzi per difendersi e non può, quindi, intralciarne il percorso. In effetti gli italiani, confondendo l’amministrazione del Paese
con la giustizia, hanno realizzato una funzione giudiziaria penale in qualche modo «aberrante», visto che è debole con i forti e forte con i deboli, esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere. Francamente, direi che l’Italia per troppa giustizia ha perso la giustizia. Le contraddizioni e inefficienze del settore giudiziario possono renderla inaffidabile nel contesto internazionale, essendo la giustizia un valore di base per ogni civiltà. Per molto tempo la giustizia ha avuto poca attenzione, restando confinata nei margini di coloro che ne venivano coinvolti. Vi era dunque un modesto bagaglio di voti per la politica. Le cose sono cambiate, ma senza che si sia formata una adeguata cultura istituzionale sul tema; difatti, le oltre cento modifiche del codice di procedura penale lo hanno solo peggiorato, né si vedono proposte risolutive.

Link all’articolo del Corriere citato nel testo aivm.it/solo-poveri-vanno-galera/ 

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