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Omicidio Lidia Macchi, La Mamma Di Binda Una Sensazione Incredibile | aivm.it
Una foto della giovane Lidia Macchi
Fonte Immagine: Corriere.it

Sull’edizione online del 25 luglio 2019 del quotidiano “Il Giorno“, Gabriele Moroni e Enrico Camanzi si occupano del caso Lidia Macchi e dell’assoluzione di Stefano Binda.

Mariuccia Poli, la mamma di Stefano Binda, risponde al telefono in un vortice di emozioni.

Nemmeno un’ora fa i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno assolto il figlio dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi nel gennaio 1987.

«Devo andare a farmi una doccia – dice – Mi scusi». Poi si scioglie.

«L’assoluzione è una cosa incredibile – afferma – Ho tanta voglia di riabbracciare Stefano.

In questi tre anni e mezzo l’ho visto tante volte in carcere, ma ora sarà tutto diverso». 

La sua convinzione non ha mai ceduto. «Non può essere un mostro», si confidava con le amiche dopo il fermo, eseguito nella villetta di due piani a Brebbia dove Stefano abita con lei. Ora conferma.

«Non ho mai dubitato della sua innocenza – chiarisce – Fin dall’inizio ho sempre sostenuto che si trattasse di un errore giudiziario». 

Dei tanti dettagli emersi nel processo, Mariuccia Poli si sofferma sulla “settimana bianca” a Pragelato, il soggiorno organizzato dai ragazzi di GS, il gruppo giovanile di Comunione e Liberazione.

«Stefano quando è avvenuto l’omicidio – spiega la madre – era in montagna. Me lo ricordo alla perfezione». 

E Lidia? «Prima della sua scomparsa non l’avevo mai sentita nominare – sostiene – Ne sentii parlare da mio figlio.

Mi disse che stavano cercando un’amica che era sparita». Ora la madre dovrà aiutare Stefano a riannodare i fili con un’esistenza segnata dal carcere.

«Sarà bello stare insieme – dice – Ha perso i contatti con tante sue amicizie ma in molti, familiari e conoscenti di Stefano, ci sono rimasti accanto. Sapevano che non era stato lui».

Dalla gioia alla delusione. Stefania Macchi, sorella di Lidia, esprime tutti i suoi dubbi sulla sentenza, ma anche su ciò che l’ha preceduta.

«Non abbiamo più niente – commenta, a caldo – Non abbiamo avuto il colpevole per trent’anni e continuiamo a non averlo oggi.

Che sia stato Binda o no, comunque, a me non tornerà indietro nulla». Poi, con garbo, qualche appunto sulla vicenda processuale.

«Credo che qualche accertamento in più andasse fatto – argomenta – dato anche l’esito opposto delle due consulenze grafologiche sulla poesia “In morte di un’amica”.

C’erano delle criticità. Forse bisognava chiedere a qualche altro consulente».

Resta l’amarezza per una sentenza che, comunque, non giunge del tutto inattesa. «Un po’ me l’aspettavo – chiosa Stefania – vista la piega presa dal processo. Incontrare Binda? Adesso non me la sento».

Troppo dolore che il tempo non può sanare. E, forse, nessuna sentenza di tribunale.

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