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Don Angelo: Il Salesiano Che Salva I Ragazzi In Etiopia | aivm.it
Fonte immagine: Avvenire.it

Sull’edizione di “Avvenire” del 20 luglio 2019, Paolo Lambruschi ci parla di Don Angelo, prete salesiano che salva ragazzi in Etiopia.


Se in Africa sappiamo che ogni mattina all’alba bisogna correre per sopravvivere, ad Addis Abeba alle prime luci del giorno un autobus lascia il grande compound del Bosco children e si mette a cercare i bambini di strada cui i salesiani hanno dato appuntamento la sera prima.

Per offrire loro una alternativa per vivere.

Lo guida Don Angelo Regazzo, classe 1943, salesiano di trincea, che conosce a memoria i posti di raccolta in una metropoli dove le strade non hanno nome.

L’appuntamento con don Regazzo è davanti al vecchio bus.

Veniamo annunciati da Argo e Spartacus, i due grandi cani che fanno da angeli custodi alla struttura. Niente foto e nomi, i ragazzi randagi non vogliono.

Arrivano da tutta Etiopia, hanno dai 10 ai 16 anni e dormono nei tombini, sotto i ponti e sui marciapiedi della capitale.

Alcuni sono sieropositivi, la sopravvivenza in strada costringe a prostituirsi anche se non si hanno 12 anni, dipende dalla fame.

Tutti sniffano colla. Sono gli scarti del ‘nuovo fiore’, Addis Abeba.

I ragazzi dormono sotto le pensiline dei bus a piccoli gruppi di 5 o 6.

Quando arriva il pullman e don Angelo suona il clacson, loro saltano fuori dalle coperte che gettano via e salgono accolti da due operatori.

«Ad Addis Abeba ci saranno 60mila ragazzi di strada – spiega don Angelo avviando il vecchio pullmino – ma si dice siano molti di più.

Vivono in gruppetti e si difendono dalla polizia, che li arresta e li mette in riformatorio per ripulire le strade.

Quando scelgono di cambiare vita non vogliono più essere chiamati ragazzi di strada. Per noi, infatti, diventano Bosco Children.».

Tutti sognano la capitale, un miraggio per i 30 milioni di etiopi sotto la soglia di povertà.

«Lasciano casa e famiglia dove non sono necessariamente oppressi o maltrattati, ma vivono in condizioni di miseria e non hanno figure di riferimento importanti.

Ad Addis Abeba rubano o scippano per mangiare. Le famiglie li cercano anche, ma nessuno può aiutarle. I reati di microcriminalità sono in aumento nella capitale.

Spesso vengono avvicinati dalla malavita per diventare manovalanza nello spaccio o nella prostituzione».

Le gang odiano il lavoro di don Angelo e dei salesiani e spesso li prendono di mira. Ma don Regazzo non si spaventa facilmente.

Entrato in seminario dai salesiani a 8 anni e mezzo, a 17 ha fatto un corso di sopravvivenza di parecchi mesi nella giungla thailandese.

Negli anni ’90 ha visto la morte in faccia in Eritrea, quando i banditi gli hanno sparato per rapinarlo e si è salvato solo grazie all’intervento della Provvidenza che ha messo sulla traiettoria dei proiettili un paraurti.

Nel 2007, dopo aver creato il centro salesiano di Dekamerè, è stato espulso con altri 21 missionari ‘scomodi dal regime di Isayas Afewerki.

Arrivato ad Addis, si è dedicato al progetto Bosco Children potenziandolo.

Come si arriva ai ragazzi perduti di Addis? «I confratelli etiopi escono tre volte alla settimana per cercarli e proporre loro un’altra vita.

Quando li incontrano, la regola è non dare loro niente, altrimenti la strada diventa un mezzo per avere cose senza sforzo».

Se scelgono di cambiare, il primo passo è il Centro di orientamento‘Come and See’, per ricordare la risposta di Filippo a chi non credeva che avessero incontrato Gesù, ‘Vieni e vedi’.

Qui i minori, che hanno dai 14 ai 17 anni, possono lavarsi, lavare i vestiti e mangiare.

Viene dato anche un abito da lavoro che la sera devono restituire, poi sono riaccompagnati in strada per due mesi.

«Ai ragazzi serve tempo per decidere se cambiare vita – puntualizza don Angelo –. Quando sono pronti, di solito hanno smesso di sniffare la colla e può iniziare l’internato presso il nostro centro».

I salesiani collaborano anche con il ministero della Giustizia, in modo che i ragazzi in carcere possano scontare presso Bosco Children parte della pena. Le carte vincenti sono la formazione e il lavoro.

Si comincia con corsi di alfabetizzazione perché quasi tutti sono analfabeti, poi c’è un’aula per i rudimenti di informatica e laboratori per lavori di artigianato che li aiutano a cambiare mentalità.

Dopo sei mesi al Bosco Uno si passa al Bosco Due dove staranno giorno e notte per tre anni.

Qui frequentano i laboratori di falegnameria e meccanica e, insieme alle ragazze esterne, quelli di catering e cucina.

Il Centro ospita fino a 100 ragazzi. trascorso il primo anno si occupa del ricongiungimento famigliare. «È sempre commovente quando riabbracciano la mamma» dice don Angelo. «A casa il ragazzo si ferma due settimane. Poi gli paghiamo il ritorno ad Addis Abeba».

E qui lo attendono altri due anni di studio e lavoro. Il Centro la domenica è chiuso. I ragazzi devono uscire. «Quasi tutti però – dice don Angelo – passano la festa lavorando».

Piccole occupazioni che permettono loro di guadagnare mettendo in pratica quello che stanno imparando.

Don Angelo ha trovato un altro incentivoBosco Children apre loro un libretto solo per versare.

I risparmi saranno raddoppiati dai salesiani. «Chi ce la fa difficilmente riprende a delinquere » spiega.

Il premier Giuseppe Conte, in visita in Etiopia a ottobre 2018, ha incontrato don Angelo Regazzo, e premiato Amaniel e Demelash, ex ragazzi di strada di Addis Abeba che hanno frequentato un corso di formazione organizzato da Iveco con cui Bosco Children collabora e hanno trovato lavoro.

Il Centro si attiva per trovare loro il primo impiego. In un Paese dove manca manodopera formata e specializzata, sono molto richiesti. Certo non sempre finisce bene.

«C’è chi si perde tornando a casa, chi finisce in carcere. I casi più difficili sono i figli delle ragazze di strada perché la mamma ha insegnato loro a rubare sin da piccoli».

Per queste ragazze di strada con bambini, i salesiani hanno aperto un progetto a parte. Bosco Children è molto costoso, ogni mattina all’alba don Regazzo quando esce in autobus deve preoccuparsi di trovare anche 1.000 euro, 30mila euro al mese.

«Come faccio? Credo nella Provvidenza. Affitto l’auditorium del Centro per i matrimoni. E ho un elenco di amici e benefattori in Italia e in Africa che hanno fiducia nel mio lavoro e mi aiutano».

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