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Magistrati, La Questione Morale Esiste

La questione morale nell’universo della magistratura.

Dall’inserto Sette, Corriere della Sera.

Pm, gip e giudici finiti in manette o indagati, casi eclatanti di corruzione: la categoria deve avviare un serio “repulisti” al suo interno.

È come in certi giochi di enigmistica: che figura togata vedi se, con un trattino, unisci i puntini della casistica di cronaca anche solo degli ultimi mesi? Poteva persino non stupire che, in una materia tradizionalmente “tentatrice”, capitassero giudici fallimentari arrestati (già tre) o indagati (molti di più insieme ad avvocati e consulenti) in Lazio e Piemonte e Lombardia per pasticci nelle aste giudiziarie. Solo che è toccato vedere pure un pm arrestato a Napoli e un altro sostituto procuratore finire in carcere a Roma perché, dalle donne di loro indagati o da transessuali, pretendevano sesso in cambio di permessi di colloqui, documenti di soggiorno o altri favori; e un ex giudice lombardo (da poco in pensione) è stato sorpreso in flagrante in un albergo milanese con minorenni adescati nelle stazioni ferroviarie.

La gestione disinvolta e familistica degli incarichi professionali sui beni confiscati a Palermo ha prodotto l’allontanamento della presidente di sezione più vezzeggiata dall’antimafia ufficiale e il trasferimento “spontaneo” di altri tre suoi colleghi. Ma in questa sorta di mappamondo dei guai togati la Calabria è quasi un mondo a parte, con un prestigioso presidente delle cruciali Misure di prevenzione del Tribunale e con un gip addirittura condannati definitivamente in Cassazione per aver favorito clan di ‘ndrangheta; con una decina di altri magistrati sotto inchieste che, a prescindere dal futuro esito, mostrano uno spaccato impressionante di commistioni; o con un ex vicedirigente della Procura nazionale antimafia che, per ribattere alle accuse di rapporti con un ‘ndranghetista, invoca criptico il segreto di Stato.

A Taranto un pm viene arrestato con l’accusa di concussione, a Busto Arsizio un gip è indagato per corruzione per la sponsorizzazione di sue passioni sportive, a Milano un procuratore aggiunto è rimosso in via cautelare per i rapporti con un avvocato, mentre il suo capo spiega di essersi dimenticato tre mesi in cassaforte un delicato fascicolo. E sempre nel capoluogo lombardo, dove gli ex vertici di Corte d’Appello e Procura Generale dopo la pensione sono incorsi nelle indagini sulla grande azienda pubblica nei cui organismi di sorveglianza erano entrati, e dove un presidente di sezione di Tar va a giudizio per aver cambiato la motivazione di una decisione rispetto alla camera di consiglio, un pm è trasferito in via d’urgenza per essersi fatto prestare soldi e pagare l’affitto di casa da persone altrimenti larvatamente minacciate di conseguenze giudiziarie.

E se in Liguria quattro magistrati sono indagati per rapporti troppo familiari con gli ex vertici di una banca popolare dai tollerati bilanci dissestati, in Campania – dove la giudice del presidente della Regione discute della causa con il marito che in parallelo si muove per ottenere una nomina proprio dalla Regione – l’arresto di tre giudici onorari tributari (più 13 indagati) disvela che le cause contro il Fisco venivano delegate e a volte addirittura scritte direttamente dal consulente della parte privata. Non solo una “mela marcia”.

Man mano che si uniscono questi puntini, bisogna arrendersi all’evidenza: l’esistenza ormai di una questione morale anche dentro la magistratura. E non tanto per il numero in sé di indagini, che al contrario va meritoriamente ascritto agli anticorpi sviluppati da una categoria certo meno autoindulgente di altre; quanto invece per gli interrogativi che la stragrande maggioranza di magistrati, davvero servitori dello Stato e vanto delle classi dirigenti di questo Paese, dovrebbe iniziare a porsi sulla disarmante concezione del ruolo espressa da questi loro colleghi nello svenderlo, svilirlo, barattarlo. Interrogativi non liquidabili dall’argomento (consolante ma oggi forse non più tanto vero) dell’isolata “mela marcia” di turno.

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