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Giustizia E Politica, Ora Va Tracciato Un Nuovo Confine

C’è da riflettere, quando iniziative penali promosse dalle Procure hanno un avvio clamoroso.

Da Il Messaggero del 10 ottobre 2016, articolo di Cesare Mirabelli

Quando queste iniziative determinano effetti irreversibili nelle istituzioni o nelle attività economiche e nella vita sociale, ma si concludono con assoluzioni che ne mostrano la vistosa infondatezza. Ci si può rallegrare che ci sia un giudice imparziale e che il processo consenta di valutare la effettiva consistenza dell’accusa e di assolvere chi è innocente. Ma c’è anche da chiedersi se il processo ingiustamente subito non sia già una pena, e se la persona, oltre a sopportare i costi della difesa in giudizio, non rimanga ferita, anche nella vita di relazione, da un’accusa resa pubblica e che si riveli infondata.

Alle conseguenze personali che subisce chi è sottoposto al processo, se ne aggiungono altre, più vistose e rilevanti per il corretto funzionamento delle istituzioni, quando l’iniziativa penale delle Procure è resa pubblica ed è naturalmente amplificata dai mezzi di comunicazione. Gli effetti sono irreversibili, se l’iniziativa penale determina o suscita le dimissioni dalla carica, mentre successivamente l’assoluzione escluderà l’esistenza di un reato. Così si finisce con incidere sulla rappresentanza elettiva e in definitiva sul funzionamento della democrazia.

Si potrebbe dire che questo è un effetto indiretto e non voluto dell’azione penale, e che semmai a dover operare sono i casi di sospensione dalla carica in attesa del giudizio, previsti dalla legge Severino. Tuttavia è innegabile l’effetto politico di una iniziativa penale, sia pure destinata a fallire. E questo apre all’uso della scorciatoia giudiziaria nella lotta politica, tanto più se basta una denuncia, un rapporto della polizia giudiziaria o una campagna di stampa, per portare inevitabilmente al processo senza il filtro di un preventivo approfondimento critico che consenta la sollecita valutazione della fondatezza o meno della notizia di reato. Entra in gioco il ruolo delle Procure nel valutare le accuse prima di promuovere l’azione penale, richiamata dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, e la prudenza che deve caratterizzare l’attività del pubblico ministero, se la sua azione deve essere efficace e condurre non solamente a celebrare processi bensì a ottenere condanne.

È facile prevedere una obiezione: la costituzione prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. È vero: l’articolo 112 prescrive incisivamente che “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Ma questo non rappresenta un paravento costituzionale per promuovere sempre e comunque, con atteggiamento accusatorio, un processo. Nel senso voluto dall’assemblea costituente significa che il pubblico ministero, contrariamente a quanto avveniva nel precedente ordinamento, non può archiviare gli atti senza chiedere la verifica del giudice, ad evitare il rischio di una sua omissione strumentale. E la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, quando la notizia di reato si rivela scarsamente consistente, non è una manifestazione di debolezza o di incuria nelle indagini, bensì di professionalità e senso di giustizia. Non significa, quindi, lasciar correre e non perseguire i reati, ma rendere efficace la persecuzione dei reati, evitando di disperdere risorse in azioni destinate a non portare ad alcuna condanna penale.

È anche vero che occorre fare attenzione alla formula della assoluzione. Se il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, l’abbaglio del pubblico ministero riguarda lo stesso fatto materiale oggetto dell’accusa. Se il fatto non costituisce reato, l’errore è nella sua qualificazione come penalmente perseguibile, mentre può essere un fatto per il quale vi può essere una responsabilità amministrativa o politica. Ma in questo caso la supplenza della giurisdizione penale, che agisce per l’inerzia di altre istituzioni, manifesterebbe una distorsione nello svolgimento della diverse competenze.

Ciò non significa che vi siano altre situazioni, nelle quali non è in gioco la rappresentanza elettiva, ma la nomina a funzioni pubbliche politico-amministrative, come nel caso dell’assessore Muraro. L’esistenza di quello che in altri tempi si sarebbe chiamato un “carico pendente”, un procedimento penale in corso, tanto più se per reati che arrecano danno alla stessa amministrazione, può sconsigliare se non addirittura precludere la assunzione o il mantenimento della carica per la quale non vi è stata una investitura popolare.

Sullo sfondo rimangono i tempi lunghi giustizia. La ragionevole durata dei processi, che pure la costituzione prevede e che va valutata tenendo anche conto degli interessi istituzionali in gioco, imporrebbe un rapido accertamento della esistenza o meno di responsabilità penali quando le attese, e le incertezze che ne derivano, determinano effetti così negativi.

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